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Con “Scannasurice” Moscato scende negli Inferi di Napoli

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Un “Misteriosofico-plebeo poema sulla mia discesa agli Inferi di Napoli”, così l’autore Enzo Moscato definisce “Scannasurice”.

Lunedì 6 gennaio, al TeatroTina di Lorenzo, è andato in scena lo spettacolo “Scannasurice”, capolavoro di Enzo Moscato, interpretato magistralmente da Imma Villa, con la regia di Carlo Cerciello.

Scritto dopo il terremoto che devastò nel 1980 la città di Napoli, oltre a raccontare le conseguenze disgreganti per la popolazione di quel sommovimento tellurico, è altresì il segno di una precarietà interiore, esistenziale.

“Scannasurice”, letteralmente “scanna topi“, è la storia di un “femminiello” che vive in una stamberga nel labirinto dei Quartieri Spagnoli, tra spazzatura e oggetti simbolo della sua precarietà, in compagnia dei topi, metafora dei napoletani stessi.La figura del femminiello, rappresentata da Moscato, è fortemente simbolica, è metafora di incompletezza e inadeguatezza, una creatura mitologica, quasi magica che, in una lingua napoletana lirica e suggestiva, tra imprecazioni, filastrocche e storie antiche va alla ricerca della propria identità.

La straordinaria Imma Villa, con realismo e intensità esalta tutte le ambiguità e il vuoto esistenziale del personaggio che interpreta: una volta smontata la sua appariscente identità, indosserà la solitudine e la fatiscenza stessa del tugurio in cui vive. Sarà cieca Cassandra, angelo scacciato dal paradiso, sarà maga, sarà icona grottesca, ma sempre poetica.

Scannasurice

La protagonista spiazza ma al tempo stesso coinvolge e ammalia gli spettatori: è una donna che interpreta un travestito, si presenta sulla scena con i capelli raccolti in una retina, indossa mutanda e canottiera maschili, poi una pelliccia rossa, collane, parrucca castana e sandali col tacco.

Si inerpica strisciando attraverso botole, nicchie in un edificio-scena a tre piani che occupa quasi tutto il palco e che può essere interpretato come una metafora del posto dove depositare e conservare i ricordi, il passato, le storie e le vite.

I movimenti, tuttavia, non inficiano la sonorità della voce e la musicalità di una lingua che regala una cascata di parole e frasi sapientemente “raccontate” dall’attricecon ilsupporto sonoro di Hubert Westkemper , le melodie di  Paolo Coletta e il prezioso gioco delle luci di Cesare Accetta.

“Chi so’… Nun moro, no… ma neppure campo comm’apprimme…”

Articolo di Ettore Casamichela e Lucia Casto, III A Liceo Classico
Photo credit frameoff

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