Gio. Apr 25th, 2024

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E se il debole fosse lui? Riflessioni sul Bullismo e sul Cyberbullismo in tempi di pandemia

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Leggendo i quotidiani, anche online, troppo spesso accade di imbatterci su tanti casi di suicidi, o tentati suicidi, legati ad episodi di bullismo e, soprattutto, cyberbullismo. Non ultima la tragica storia del ragazzo ventunenne della provincia di Taranto, che si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto dal ponte che si affaccia sulla gravina, così come aveva già tentato di fare qualche mese prima. Le indagini si sono concentrate sulle ragioni di questo gesto estremo. Dalla testimonianza di qualche parente è emerso quanto il ragazzo fosse timido, introverso e come proprio lui avesse raccontato di essere stato preso di mira da alcuni suoi coetanei. Le tante intimidazioni avrebbero fatto crollare le difese del giovane, spingendolo al limite della sopportazione, fino alla decisione estrema.

La sofferenza di bambine/i e ragazze/i deboli e fragili, oggetto di angherie di compagni o di un gruppo, raccontata anche in molti romanzi e film, è un fenomeno in continuo dilagare, non conosce crisi. Il fenomeno sociale che chiamiamo “bullismo” si è accentuato particolarmente con la pandemia di Covid-19, soprattutto nella forma del cyberbullismo. Ma di che cosa stiamo parlando? Per cyberbullismo si intende l’insieme di prevaricazioni messe in atto con il supporto dei mezzi tecnologici e dei social, come derisioni pubbliche, diffusione di foto o video. Gli studiosi hanno stimato un aumento del 59 % di episodi di cyberbullismo proprio durante quest’anno di pandemia. Infatti, il coronavirus ha chiuso in casa ragazze e ragazzi, ma non li ha liberati dal bullismo. Molte sono le persone che, a causa di insulti, minacce o semplicemente esclusioni, tendono all’isolamento o al così detto “HIKIKOMORI”, al rifiuto di qualsiasi contatto esterno alla propria stanza. Un fenomeno che bisogna controllare e frenare il prima possibile, se non si vuole assistere a un incremento costante di disturbi psicologici come ansia o depressione, o addirittura dei suicidi. Questi sono i temi affrontati il 9 Febbraio, in occasione del “Safer Internet day”, la giornata internazionale per la sicurezza in rete. L’incontro si è rivelato un momento importante, visto che oggi i contatti tra noi giovani sono basati su chat, foto e video, e non più sull’empatia o sull’incontro diretto.

Cosa bisogna fare per prevenire e/o sconfiggere il fenomeno del cyberbullismo? Sono molti i progetti promossi per la prevenzione di questa problematica sociale; uno di questi, che si è rivelato particolarmente efficace, è il progetto “Be Kind”, portato avanti dall’esperto di cyber-criminalità e di diffamazione sui social media Francesco Verri, proprio durante il periodo di pandemia. Obiettivo principale di questa iniziativa è sensibilizzare la comunità digitale ai temi sociali da cui scaturiscono disagio, sofferenza ed aggressioni immotivate, penalmente rilevanti. L’avvocato ha organizzato una serie di webinar e talk su Instagram in cui, dialogando con influencer molto seguiti, mira a informare adulti e ragazze/i sui rischi di atteggiamenti estremi e borderline riconducibili al cyberbullismo. Inoltre, le scuole, nei limiti delle restrizioni anti-Covid, si stanno occupando della problematica, attraverso incontri online nei quali sono coinvolti anche i genitori, proprio per un’azione a 360 gradi che sottolinei la pericolosità del fenomeno. Vogliamo, davvero, continuare a sentire notizie in cui si parla di ragazzini morti suicidi a seguito di danni psicologici legati alle offese gratuite ricevute sui social? E se capitasse ai nostri cugini, amici o a noi stessi? La vita non può essere spezzata a causa dal tiro alla fune dei “leoni da tastiera”. Prendiamo coscienza della gravità del fenomeno. La violenza psicologica è pericolosa tanto quanto quella fisica, se non di più. Alcune parole, molte volte, ritornano alla mente molto più di azioni fisiche violente. Senza il benessere psicologico, non potrà mai esserci quello fisico. È molto più facile prendersela con i più deboli, come, per noi, è molto più facile schierarci dalla parte delle vittime. Ma se provassimo invece a ricercare le ragioni del “cattivo della situazione”, del “carnefice”? Magari scopriremmo che il “bullo” non è affatto la persona sicura di sé che immaginiamo. Probabilmente patisce un disagio molto profondo, porta sulle spalle un modello consolidato nel tempo, fondato sul bisogno di sopraffare gli altri con la violenza fisica, verbale e psicologica, mette in pratica ciò che conosce o che gli è stato trasmesso. Frustrazioni, problemi familiari o sociali potrebbero averlo condotto ad affermare il proprio potere sull’altro in maniera aggressiva come modalità di sopravvivenza. Si potrebbe leggere dietro questo comportamento quasi una richiesta di aiuto. Il “debole” potrebbe essere proprio lui.  E se anche il “bullo” fosse meritevole di attenzioni, di ascolto, di cura, di sostegno? Altri modelli, altre regole potrebbero aiutarlo a modificare le sue prospettive e ridisegnare il suo profilo umano e relazionale.

Francesco Intagliata, Giulia Moschetti, Alfredo Pricone – IIIA Liceo Scientifico

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