Ven. Apr 19th, 2024

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Intervista ad Aurora Miriam Scala

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Le vicende mitiche di Clitennestra, Agamennone ed Elettra, nate nell’antica Grecia e raccontate per secoli, trovano una rilettura contemporanea con l’adattamento teatrale Meter Tygater, scritto, diretto e interpretato da Aurora Miriam Scala con Maria Chiara Pellettieri. Lo spettacolo, vincitore del Premio Nazionale 2018 Creatività Giovanile Under 30, è stato replicato sabato 12 settembre al Convitto delle Arti (Noto), in occasione dell’ottava edizione del Codex Festival. Nonostante l’emergenza sanitaria, nei confronti della quale sono state adottate le dovute precauzioni, le due attrici hanno regalato al pubblico una performance intensa e coinvolgente, in grado di distoglierlo momentaneamente dalle preoccupazioni legate alla criticità di questo periodo. È proprio Aurora Miriam Scala a permetterci di far luce sul retroscena e i significati più intrinseci dell’esibizione.

«Hai vissuto il lockdown come un’occasione per lavorare a nuovi progetti o più come un momento di pausa?»

«A dispetto di ciò che immaginavano i miei colleghi, che sanno quanto io sia prolifica dal punto di vista artistico e pensavano che avrei scritto almeno tre nuovi spettacoli, per me la quarantena è stata un momento di totale stasi e silenzio. Se devo essere onesta – e sono felice di dirlo – ho riscoperto la mia fede e il mio rapporto con Dio, che avevo perduto e che mi ha reso più forte e più pronta ad affrontare quello che è accaduto dopo. Quando, infatti, ho capito che probabilmente non avrei lavorato fino a giugno, mi sono detta: “Ok, non fa niente, vuol dire che la vita mi sta chiedendo altro. Posso anche fare la spazzina, non importa. L’importante è sapere che, comunque vada, questa cosa potrà avere un seguito”. È stato solo con la riapertura che ho scritto degli spettacoli per bambini. Tutti sanno che amo, prima di ogni cosa, i bambini e i ragazzi: tutto ciò che scrivo è pensato principalmente per chi ha dai quattro ai cento anni, perché se ci si abitua al teatro di qualità fin da quando si è piccoli ci si andrà anche da adulti, altrimenti poi sarà difficile percepirne la bellezza.»

«Credi che l’emergenza sanitaria abbia segnato una crisi del teatro e, in generale, del settore dello spettacolo? Se sì, ritieni di esserne stata colpita in qualche modo?»

«Siamo in ginocchio, solo questo. Se l’è cavata chi ha avuto spirito di inventiva e, ringraziando Dio, io ne ho molto, così come ce l’hanno tanti altri professionisti. Basti pensare a Mario Incudine, che ha inventato in quattro e quattr’otto le Serenate, perché ha capito che bisognava intraprendere un’altra strada e creare cose nuove per fare in modo che non si dovesse stare su un palcoscenico. Siamo in ginocchio per tanti motivi. Impedendo ai teatri di riempire un tot di sedie, li si stronca. Ma non i grandi teatri – gli stabili godono dei fondi pubblici -, sono quelli piccoli, che stanno morendo. I teatri-off di tutte le città rischiano la chiusura totale, proprio perché purtroppo questa emergenza ci ha messo in ginocchio. Mi dico: cosa possiamo farci? È una cosa imprevedibile, che non possiamo controllare. Bisogna correre ai ripari e sostenere economicamente il comparto dello spettacolo, altrimenti le famiglie non potranno mantenere i figli. Io, per il momento, ho soltanto un fidanzato, ma domani potrei avere un marito e dei bambini. Tanti colleghi, però, hanno già famiglia. Sono stati, sono e saranno momenti veramente difficili. Quindi sì, siamo in crisi.»

«Riguardo a Meter Tygater, c’è qualcosa che ti lega particolarmente a questo spettacolo? Magari una tematica importante che vuoi divulgare e che ti porta a replicarlo?»

«Di questo spettacolo mi piace pensare tante cose. Una è che il mito visto come un fatto passato, inciso nella roccia e ambientato soltanto nell’antica Grecia non ha senso: è qualcosa che si ripete in qualsiasi tempo e luogo. Io l’ho ambientato nell’epoca della dittatura dei colonnelli in Grecia, tragico evento che raramente viene studiato o di cui si parla. Ho pensato che trasportare quel mito in quel periodo storico poteva essere di grande attualità: prendere un pezzo di storia antichissima e ripensarlo nella contemporaneità: la dittatura a cavallo fra gli anni ‘60 e ’70, in Grecia, è proprio un’attualizzazione del mito. E poi mi piace indagare il tema dell’infanzia negata, l’infanzia di Elettra, che diventa grande troppo presto e rimane un po’ bambina e un po’ adulta. Volevo anche giustificare Clitennestra, che io amo molto. Tutti a dire: “Ha ammazzato suo marito! Ha ammazzato suo marito!”. Dopotutto è stata sacrificata sua figlia, non dimentichiamolo. Certamente in alcune cose ha messo un piede in fallo, però la giustifico comunque, perché per me ha delle attenuanti. Magari sbaglio, ma la mia opinione è questa.»

«Tra la scenografia essenziale e gli oggetti di scena evocativi, risalta in particolare una bambola, presenza costante sulla scena. Ha un significato specifico?»

«Quella bambola è l’oggetto dell’infanzia di Elettra: è identica a lei e gliel’ha regalata il padre. È l’oggetto che la lega ad Agamennone. È l’oggetto che la lega anche alla madre, perché Clitennestra le stacca un occhio, non per cattiveria, ma perché rappresenta un padre prima affettuoso, poi non più. Mi piace pensare alla bambola come a una testimone oculare di tutta la vicenda, da quando Elettra è piccola a quando cresce, ed è l’unica a vederla uccidere la madre. È inerme e osserva senza sapere cosa fare, come il pubblico, che si chiede come è possibile trovare il punto della situazione in una storia del genere. Inoltre, adoro le bambole di pezza, da morire.»

«È un caso che le uniche due attrici siano entrambe donne?»

«No. Dovete sapere che, una volta diplomata, ho quasi sempre lavorato solo con donne. Ho voluto raccontare la femminilità, ma non faccio la finta femminista. A me piace raccontarla in tutte le sue sfaccettature, non perché ritengo che dobbiamo sentirci migliori degli uomini o più forti di loro. Noi abbiamo altre meravigliose caratteristiche, che ci connotano, che ci distinguono e che mi piace rappresentare sulla scena. Paradossalmente, le attrici sono meno primedonne degli uomini, va detto. Quindi io adoro lavorare con le mie colleghe, e Maria Chiara è la mia preferita, lo sanno tutti. È la mia musa ispiratrice, perché la prima cosa che ho immaginato di questo spettacolo è stata lei che giocava con un telo.»

 

 

Arianna Azzaro

Sofia Mazzonello

Classe V A liceo classico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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