Sab. Apr 20th, 2024

RAELIOGGI

le Notizie al Primo Posto

Noto e il mare prima e dopo il terremoto del 1693

5 min read
Sabato 12 gennaio, nella Sala Gagliardi di Palazzo Trigona, si è svolto il convegno sul cambiamento della città dopo il terremoto del 1693, nell'ambito della VI edizione della manifestazione "Nella ferita la cura".

Sabato 12 gennaio, nella Sala Gagliardi di Palazzo Trigona, si è svolto il convegno sul cambiamento della città dopo il terremoto del 1693, nell’ambito della VI edizione della manifestazione “Nella ferita la cura.

Il convegno è stato aperto dalla dott.ssa Laura Falesi, membro dell’Archeoclub d’Italia e presidente della sezione di Noto, che ha ribadito l’importanza di non dimenticare questa data perché inizialmente il crollo della città rappresentò un trauma, ma subito dopo si trasformò in un momento di rinascitaInoltre, la dott.ssa Falesi ha esortato le istituzioni comunali e scolastiche ad approfondire l’argomento dei terremoti con prove di evacuazione e lezioni sull’argomento, visto che noi tutti viviamo in un territorio ad alto potenziale sismico.
Il compito dell’Archeoclub, tra gli altri, è quello di invitare la cittadinanza e l’amministrazione ad una maggiore riflessione e consapevolezza riguardo la sismicità del territorio. 

Finita l’introduzione della dott.ssa Falesi, ha preso la parola il prof. Giuseppe Barone, Ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Catania. Il tema centrale del suo studio riguarda il collocamento della città all’interno di un grande fenomeno che avviene nel 700, nel sud- est, ovvero il fenomeno dello spiazzamento territoriale di un movimento centrifugo che dalla montagna porta gli insediamenti umani verso la costa e verso il mare, verso il quale Noto svolge un ruolo centrale, governando il suo territorio.

Il terremoto del 1693 è stato un potentissimo acceleratore per spostare il centro degli interessi economici, sociali, culturali dei patriziati urbani verso il mareIl prof. Barone ritiene che il giudizio del mare che sequestri sia una concezione sbagliata, perché la Sicilia grazie al mare è collegata, e non è stata mai isolata.

Solo tenendo conto di alcuni studi si può capire come la città si sia sviluppata. Prendendo come esempio Pachino sappiamo che fu fondata dagli Starrabba, ma questa nobile famiglia era un élite interna netina. Quindi è Noto a creare un altro paese, un pezzo di Noto che va fuori dai suoi confini e realizza su un territorio costiero una straordinaria espansione agricola e commerciale legata al vino e alla coltivazione dei pomodori. Ci troviamo di fronte a delle famiglie nobili che sono mobili sul territorio e questa aristocrazia mobile è una aristocrazia imprenditrice, non una che vive solo di rendita e di latifondo improduttivo. Tutto ciò non è una sconfitta per la città, ma un arricchimento del territorio e semmai dimostra la grande capacità imprenditoriale della nobiltà netina che si espande e che realizza città.

Rilevante è stato l’intervento del ricercatore dott. Sebastiano Primofiore che ha presentato il lavoro, svolto in collaborazione con Antonello Capodicasa e Vincenzo Belfiore, che ha come scopo la composizione toponomastica di Noto Antica in epoca moderna. Il ricercatore sostiene che guardando il monte Alveria da una visione aerea si nota la forma insolita del monte, che può essere assimilata ad un cuore rovesciato che punta verso Nord, circondato dalle due cavità naturali, sul lato Ovest la cava del Carosello e sul lato Est la cava del Salitello.

Sono stati studiati tanti documenti di archivio paragonandoli col patrimonio cartografico che rimane di Noto Antica. Da questi documenti è stato poi possibile risalire ad alcuni atti nella compravendita di immobili. Da ciò si può dedurre che gli edifici erano posti su un’area intermedia fra varie contrade. La città intorno alla fine del 1500 ha assunto una nuova caratterizzazione secondo cui la parte nord-orientale era chiamata quartiere di San Cristoforo; poi procedendo in senso orario si trova il quartiere di San Martino, il quartiere di San Lorenzo o quartiere di mezzo, poi il quartiere di San Luca ed infine il quartiere di Santa Venera; al loro interno si trovano una serie di contrade venute fuori dalla ricerca di archivio che ha dato modo di portare alla ribalta un gran numero di nomi in modo da ottenere una rappresentazione di Noto in età moderna.

Antonello Capodicasa, studioso di storia locale, ha tenuto il suo intervento riguardo il ritrovo dei resti di una tonnara seicentesca nel territorio di Noto, che apparteneva ai primi Nicolaci, esattamente ad Apollonio vissuto dal 1553 fino al 1633. Su di lui si pongono molti interrogativi. Lo studioso afferma che ripercorrendo l’albero genealogico della famiglia Nicolaci non ritroviamo nessun Apollonio, ma in atti antichi si scopre che nei capitoli matrimoniali di Pietro e Giuseppa, Apollonio sarebbe il fratello di Nicolò Giacomo (padre di Pietro) e quindi zio di Pietro.
Nel 1584 viene ritrovato un documento che parla di una certa Girolama madre di Apollonio e del fratello Antonino, che abitavano in contrada Zisili e le loro case confinavano con quelle di Nicolò Giacomo.
Girolama viene chiamata La Colaci, stessa cosa per i figli, su questo non si sa come nel corso del tempo il loro cognome si sia trasformato in Nicolaci.
Ritornando alla tonnara, il suo nome originale è Bufuto ed era stata ubicata nella cava omonima tra Vendicari e Calamosche, fu costruita nel 1620 e funzionante fino al 1625 per poi essere spostata nella zona di Vendicari. Al giorno d’oggi di questa tonnara sono rimasti solo pochi resti, come alcune mura e un canale scavato nella roccia.

L’ultimo a prendere la parola è stato Giuseppe Iuvara, studioso di storia locale, che ha dimostrato il motivo per cui l’antica Noto sia stata costruita sul monte Alveria.
Secondo alcuni documenti del 1300, le coste erano condizionate dalla pirateria, e quindi questo comportava lo spostamento della popolazione nell’entroterra per paura delle incursioni.
Per prevenire tali attacchi vennero costruite delle torri di avvistamento, in modo da dare dei segnali alla città dell’imminente pericolo. Al giorno d’oggi poche sono le torri di avvistamento non distrutte, tra queste una delle più importanti è la torre di Vendicari. Lo studioso afferma che la pirateria terminò nel 1830 con la caduta di Tripoli e Tunisi ed è in questo periodo che molte città si avvicinarono al mare.

Il convegno si è concluso con l’intervento musicale di Alfonso Lapira, che ha fatto rivivere la tradizione della cultura del mare sulle note della “Cialoma”, il canto siciliano della mattanza.

Articolo a cura di Corrado Cavarra e Paolo Mortellaro VA Caet

 

Copyright © All rights reserved. | Newsphere by AF themes.