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Orazio Condorelli e il perché di una residenza artistica sulla paternità

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Il regista Orazio Condorelli e l'intuizione di una residenza artistica sulla paternità in occasione del Codex Festival Vol.7.

Sul tema della paternità e sull’arte del teatro abbiamo rivolto alcuni significativi quesiti allo stimato regista Orazio Condorelli.

“The Parents, primo studio sulla paternità” è la residenza artistica tenuta da Orazio Condorelli con  Flavio Riva e gli attori diplomati alla scuola dell’ADDA, sabato 14 settembre a Noto, in occasione del Codex Festival. Sul tema della paternità e sull’arte del teatro abbiamo rivolto alcuni significativi quesiti allo stimato regista.

Innanzitutto vorremmo chiederle qualche informazione circa il suo percorso artistico, la sua carriera nell’ambito teatrale.
Io ho iniziato a Catania in un centro di aggregazione popolare che si chiama G.A.P.A. Lavoravamo con i ragazzi del quartiere e facevamo teatro perché credevamo che il teatro, soprattutto nelle zone marginali, fosse necessario. Ho sempre cercato di mettere al centro “l’emarginazione” nel mio lavoro, per cui ho iniziato lì e poi mi sono trasferito a Palermo dove ho fatto l’aiuto regista, poi sono ritornato nuovamente a Catania e ho fatto uno spettacolo che si chiama Librino, uno spettacolo che ha avuto molta fortuna anche a livello nazionale. Da lì ho continuato, cercando sempre di trovare una mia dimensione.

Come mai la scelta importante della paternità come tema?
Io ho la fortuna di avere a che fare con adolescenti. Lavoro molto con ragazzi come voi nelle scuole e tengo anche dei corsi che non sono delle vere e proprie scuole di teatro, perché il teatro non si si insegna, si impara, secondo me, facendolo. Il mio ruolo è essere una guida e, spesso, quello che “esce fuori” da questi laboratori è il rapporto complesso tra genitori e figli e con un’idea in particolare che è quella “dell’evaporazione” del padre. Oggi non c’è più, nel bene e nel male, la figura autoritaria/autorevole del padre, c’è lo smarrimento del ruolo dei genitori, quindi mi interessava anche indagare su questo: “l’evaporazione del padre” e alcontempo colmare l’assenza del mio, che è scomparso cinque anni fa.
Con questi lavori, tento di ricreare un rapporto, farmi dire delle cose che magari non è riuscito a dirmi mentre era in vita e al tempo stesso anche io provo a dirgli cose che avrei voluto dirgli prima.

Che cosa ha rappresentato per lei guidare una residenza artistica?
Un’opportunità. L’opportunità di lavorare con degli attori per un bel numero di ore al giorno e iniziare ad esplorare intorno a questo tema.

Secondo lei si può lavorare solamente con attori professionisti o si può ottenere lo stesso risultato anche con attori amatoriali?
Io ho avuto la fortuna di lavorare con entrambi e quello che mi interessa non è tanto la bravura, la facilità di fare una spaccata o di cantare il pezzo figo, ciò che mi interessa è cogliere la verità che ognuno di noi porta. Quindi diciamo che, più che la bravura, mi interessa l’aspetto umano e credo che tutti hanno qualcosa da dire, se ne hanno voglia, quindi non saprei fare una classifica. Naturalmente lavorare con dei professionisti facilita per certi versi, di molto il lavoro perché è più semplice, ma tutti, secondo me abbiamo qualcosa da dire.

Intervista di Annarita Mollura
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