Gio. Apr 25th, 2024

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“The strange sound of happiness”, il docufilm di Diego Pascal Panarello

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Con la proiezione di The strange sound of happiness cala felicemente il sipario sulla settima edizione del Codex Festival.

Con la proiezione di The strange sound of happiness cala felicemente il sipario sulla settima edizione del Codex Festival.

La tradizione siciliana, estremamente ricca e varia, cela spesso molte sorprese. Lo scacciapensieri, per esempio, in Sicilia viene chiamato marranzano, a causa della somiglianza del suono con il frinio della cicala, che in dialetto ha lo stesso nome. Eppure Diego Pascal Panarello, giovane filmmaker augustano, ci spiega come questo strumento, che siamo abituati a considerare nostro, possa avere tutt’altra origine. Probabilmente affonda le radici nella preistoria, con un uomo primitivo che, nell’atto di spolpare un pezzo di carne, produce involontariamente una musica con un osso dalla forma particolare. Questo piccolo “pezzo di ferro magico” è il vero protagonista del suo docufilm “The strange sound of happiness”, prodotto in Germania nel 2017 da Kick Film e Stefilm, fotografia di Matteo Cocco e montaggio di Carmen Kirchweger ed Erica Gatto. Qui egli riveste non solo i ruoli di regista e sceneggiatore, ma anche di personaggio principale, ciò conferisce al prodotto finale un carattere autobiografico, seppur inizialmente non previsto. Non è facile decifrarne la natura cinematografica, dal momento che sconfina nel surreale, nell’animazione e nel documentario sperimentale, risolvendosi in un road movie romanzesco. Panarello lo definisce un docu-fantasy.

La proiezione al Teatro Tina Di Lorenzo di Noto ha avuto luogo la sera del 15 settembre, nell’ambito della settima edizione del Codex Festival. Il percorso che ha condotto Diego alla realizzazione di questo progetto non è soltanto fisico ma anche e soprattutto mentale. Tutto ha inizio con la brusca rottura della relazione con la sua ragazza che lo lascia per un altro, costringendolo a trasferirsi a casa dei propri genitori. Trascorse intere giornate malinconiche pensando esclusivamente a lei, d’improvviso la sua mente viene prepotentemente invasa da un suono, che lo risolleva e che riconoscerà prima nel canto delle cicale e in seguito nelle note del marranzano. In breve tempo impara a suonarlo con dimestichezza e se ne innamora, tanto da partecipare a svariati concerti. Grazie a un incontro a Parigi, scopre con grande sorpresa che la culla di questo strumento si trova ben oltre la sua Sicilia. Diego, abbandonandosi al flusso delle vibrazioni dello strumento, giunge nella lontana Yakutia, terra a lui familiare soltanto nel gioco del Risiko. Lì, lo scacciapensieri è addirittura considerato sacro: gli viene attribuito il potere di porre fine al gelo estremo proprio della steppa siberiana perché scioglie i ghiacci portando la primavera in virtù del suo suono simile a quello di una goccia d’acqua.

Gli Yakuti lo chiamano “khomus” (letteralmente “uomo magico”), ma questo è solo uno dei numerosissimi modi in cui lo stesso strumento si presenta in altre culture di tutto il mondo, con l’eccezione di qualche paese, come il Messico, che ne ignora l’esistenza.

Gli ambienti che fanno da sfondo al viaggio di Diego sono sempre suggestivi: da una parte la calda Sicilia estiva, con il mare che luccica sotto il sole di mezzogiorno e la vegetazione tipicamente mediterranea; dall’altra il freddo pungente della Yakutia, che congela i baffi e cristallizza il liquido lacrimale. Questo contrasto è a sua volta compensato da una rima visiva tra il bianco della neve siberiana e quello della parete rocciosa argillosa e calcarea della Scala dei Turchi. La visione risulta piacevole, nonostante in alcuni momenti appaia poco dinamica, a causa dell’eccessiva dilatazione di pochi fondamentali avvenimenti nell’arco di novanta minuti. Ciò però non suscita tedio nello spettatore, bensì ha il vantaggio di permettere di “vagare” tra riprese varie e intelligenti, mai illogiche e sempre motivate.

Sebbene possa sembrare che per certi aspetti la narrazione dei fatti proceda con lentezza, si può comunque cogliere l’abilità del regista non solo nel dare un senso ad ogni aspetto di essa, giustificando la “lentezza” stessa, ma anche nel saper sfruttare vantaggiosamente il fascino di scenari così singolari, elaborando un docu-film equilibrato quanto intrigante.
Al termine della proiezione, il pubblico ha riservato un caloroso applauso al regista che amabilmente si è intrattenuto nella sala rispondendo alle domande degli spettatori.

Articolo a cura di
Arianna Azzaro e Sofia Mazzonello IV A liceo classico

Photocredits Facebook Page Diego Pascal Panarello

 

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