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Teatro e cittadinanza: la luce del cambiamento

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Venerdì 26 maggio il Primato Netino è stato ospitato dalla professoressa Corrada Fatale nel suo laboratorio teatrale “No bullismo”. La prof.ssa, docente di storia e filosofia al liceo classico Di Rudinì, è impegnata da diversi anni nella realizzazione di un progetto di cittadinanza attiva, che riesce ad unire l’amore senza tempo per il teatro all’analisi di problemi sociali. Alle prove si è avvertito fortemente l’entusiasmo dei ragazzi e dei docenti impegnati nella preparazione dello spettacolo “Come torre ferma”, che si terrà martedì 6 giugno al teatro Tina Di Lorenzo di Noto. Abbiamo avuto l’opportunità di instaurare con la prof.ssa un vero e proprio dialogo sulla decadenza dei valori nella realtà odierna e di intervistare il regista Giuseppe Spicuglia, che la affianca in questa avventura. 

“Il mio lavoro parte da una riflessione sulla società odierna, che appare alla deriva per la decadenza di quelli che “si chiamano” valori. Mi rendo conto che effettivamente ci sono delle difficoltà, però non mi sento di dire che i giovani di oggi siano nichilisti: sarebbe una sconfitta del genere umano.  Quello che mi spinge ogni anno a riproporre il progetto è infatti la grande fiducia che nutro nei loro confronti. Io credo che le ragazze e i ragazzi di oggi abbiano tante risorse, ma che ci si debba approcciare nei loro confronti in maniera diversa, perché la società è cambiata. Occorre tirar fuori euristicamente le paure radicate nel loro intimo ed educarli alla solidarietà, all’accoglienza e al rispetto reciproco, presupposto per qualsiasi forma di dialogo. Quest’anno il tema è il bullismo, però il nostro intento non è demonizzare: in questo spettacolo ci sono i “buoni” e i “cattivi”, ma non sono delle categorie fisse, perché anche i cattivi hanno bisogno di essere capiti ed educati. Meravigliosa è la collaborazione nata con Giuseppe Spicuglia”

INTERVISTA A GIUSEPPE SPICUGLIA

Quando ha iniziato ad avvicinarsi al mondo del teatro?

Non ho iniziato prestissimo, ma ho sempre avuto quest’amore per il teatro e non l’ho capito fino a quando non è venuto fuori da una via trasversale: creare insieme ai ragazzi una progettualità. Ho realizzato il primo musical con dei giovani ragazzi dell’oratorio nel 2010 e da quel momento non mi sono più fermato. “Tutti insieme appassionatamente” è stato poi riproposto nel 2015 con una regia rinnovata e con dei sistemi più professionali. Infatti, la prima stesura era di una semplicità e ingenuità che mi fanno sorridere,  quasi vergognare, però non la rinnegherò mai pechè è stata la mia prima esperienza. Poi “The Lion King”, che è stato un grande successo e “Uk”, la nostra prima produzione. Era uno spettacolo che non esisteva e noi abbiamo realizzato un riadattamento teatrale di un film. Partendo da “Anotehr brick in the wall” dei Pink Floid abbiamo pensato ai pirati come automi che si muovono al servizio di Capitan Uncino, mentre i bimbi sperduti con “Bohemian Rhapsody”  fanno un ingresso bohémien  sregolato e senza nessun rispetto per lo spazio vitale di una persona. Trasformarlo in un’opera rock è stato veramente suggestivo anche perché non sapevo quale sarebbe stato il risultato finale e vedere il pubblico, soprattutto quello più giovane, commuoversi e reagire così è stata una bella soddisfazione.

Come si trova a lavorare con i ragazzi? E’ vero che da loro si può imparare molto nonostante la giovane età?

Io imparo sempre e solo dai ragazzi. In realtà io non ho frequentato delle scuole di teatro, però la mia scuola sono stati questi sette anni di conoscenza proprio della materia e loro sono stati i miei libri, una palestra, dove ho potuto percepire se ciò che facevo fosse sbagliato o giusto. Procedo tutt’ora in maniera sperimentale, in quanto non so mai quale sia la soluzione perfetta, ma la trovo affrontando direttamente il problema. E’ proprio il teatro a intrecciarsi con la vita reale e ciò porta il pubblico a immedesimarsi nei personaggi: questa è la grandezza del teatro. I suoi eroi sono anche i nostri eroi, positivi e negativi, e la domanda che ci pone il teatro è dove sia il bene e dove il male. Volente o nolente sei portato a riflettere e a stare bene. Il teatro non può prescindere dalla sua funzione civile ed è per questo che il teatro va affrontato in maniera seria. Bisogna coinvolgere tutti nella macchina teatrale in relazione alle diverse potenzialità e attivarsi affinché ognuno le metta a frutto. A volte chi è timido ha molto di più da dare ed ecco l’importanza del laboratorio.                                     Non si parte direttamente dal copione, ma, come affermava Stanislavskij, l’attore deve svolgere prima un lavoro su se stesso e capire in che modo il suo corpo è in grado di veicolare le emozioni, in seguito deve comprendere come può approcciarsi a un personaggio, che a volte è enormemente distante da lui. Nella mia carriera mi è capitato di interpretare personaggi molto lontani dal mio modus vivendi, però devo comunque renderli credibili prendendone le distanze oppure immedesimandomi. È divertente!                                               Il teatro è  relazione, è un atto di comunione e non esistono personaggi principali o secondari.

Oggi il teatro ha perso la funzione civile che aveva in passato, come si possono avvicinare i giovani a questa grande forma d’arte purtroppo oggi in decadenza ?

Il teatro non può prescindere dalla funzione civile con cui nasce e di conseguenza ha il dovere di interessarsi ai giovani e i giovani devono interessarsi al teatro in qualsiasi forma, non necessariamente come attori ma anche come spettatori. Il saper essere spettatori richiede un’educazione. Ci  sono tante vie per avvicinare i giovani al teatro, i ragazzi hanno bisogno di sentire forte questa passione, ci vuole un defibrillatore.                             Vanno coinvolti in un processo totalizzante, devono capire come funziona la macchina teatrale. Io credo molto nella fase laboratoriale dello spettacolo. Uno spettacolo in realtà si può montare in tre settimane ma per acquisire consapevolezza ci vuole più tempo. Infatti, i ragazzi non sono professionisti, quindi non conoscono determinate tecniche, però noi chiediamo un approccio professionale, totalizzante con la materia teatrale. Bisogna raccontare una storia reale, contestualizzata in modo tale che loro la sentano viva.

Sentendoti parlare ciò che si capisce è che sei molto legato ai giovani e tieni molto alla tua comunità, so bene che hai intrapreso diversi progetti negli ultimi anni per coinvolgere i ragazzi quindi vorrei conoscere ciò che ti ha spinto ad avvicinarti così tanto alla comunità e a diventarne un membro portante.

Questa è una domanda da un milione di dollari! È un processo naturale io ci sono per loro e loro ci sono sempre per me. Spero di riuscire a conciliare tutto anche in futuro, la speranza è questa. Ogni mio progetto è stato portato avanti con delle persone che da sempre mi hanno sostenuto in particolare mia sorella Chiara, noi abbiamo sempre condiviso tutto e ogni cosa è stata fatta con estrema naturalezza. Anche la stesura degli spettacoli  la condivido sempre con lei poi lei me li distrugge e ne ricostruisco una migliore. Quando non me li distrugge vuol dire che ho fatto un buon lavoro.

In futuro c’è già qualche sogno pronto ad uscire dal cassetto ?

Ho tanti sogni, io sono un sognatore. In particolare ho scritto un musical e ne ho parlato con i ragazzi. Inizialmente mi ero dedicato solo alla sceneggiatura poi mi sono lasciato andare e ideato le musiche, le liriche e tutto il resto. Ed ecco che è venuto fuori questo musical, che è una rielaborazione teatrale de < I tre moschettieri >.

Giorgio Aruta, Chiara Fichera

(sede A. Di Rudiní)

 

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