Dom. Apr 28th, 2024

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Archeologia in Sicilia nel secondo dopoguerra

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Il 4 ottobre, nell'aula magna Vincenzo La Rosa di Palazzo Ingrassia, presso l’università degli studi di Catania, si è tenuto un convegno sull’archeologia del dopoguerra in Sicilia a cui hanno assistito la classe 3^A del Liceo Artistico e la 3^A del Liceo Classico “M. Raeli", nell'ambito del progetto di alternanza scuola-lavoro di quest’anno sugli scavi archeologici a Noto Antica.

Le riprese delle indagini archeologiche dopo la seconda guerra mondiale.

Il 4 ottobre scorso, nell’aula magna Vincenzo La Rosa di Palazzo Ingrassia, presso l’università degli studi di Catania, si è tenuto un convegno sull’archeologia del dopoguerra in Sicilia a cui hanno assistito la classe 3^A del Liceo Artistico e la 3^A del Liceo Classico “M. Raeli”, nell’ambito del progetto di alternanza scuola-lavoro di quest’anno sugli scavi archeologici a Noto Antica.Hanno relazionato i docenti: Michel Gras, sugli scavi a Megara Hyblaea; Angela Maria Manenti, sul riallestimento del Museo a Piazza Duomo; Marcella Accolla, sull’attività archeologica siracusana nel dopoguerra; Federico Fazio sulla grande figura dell’archeologo Luigi Bernabò Brea ed il suo lavoro a Siracusa; Rosaria Cicero, Daniela Marino e Loredana Saraceno sull’archeologia siciliana in Libia negli archivi della Soprintendenza di Siracusa; Giovanni Di Stefano sui sopralluoghi e gli scavi di Ragusa e Fontana Nuova, accennando alla figura di Bernabò Brea; Bianca Ferrara sulla ripresa delle attività di scavi a Noto Antica dopo la seconda guerra mondiale; Salvatore Adorno, Francesca Buscemi e Pietro Militello sull’attività del dell’Istituto di archeologia di Catania nel secondo dopoguerra e i dati dell’archivio fotografico; Fabrizio Nicoletti sul lavoro dell’Ufficio Scavi di Catania; Viviana Spinella sulla figura di Guido Libertini e la riscoperta della “Rotonda” di Catania nel dopoguerra; Rodolfo Brancato sulla ricerca topografica della Piana di Catania e i dati dell’Archivio della Bonifica; Maria Teresa Magro sulla Valle dell’Alcantara nel secondo dopoguerra; Edoardo Tortorici sul contributo di Nino Lamboglia all’archeologia siciliana nel dopoguerra e Francesca Spatafora sulla nascita dell’archeologia fenicio-punica in Sicilia.

Tutti gli argomenti sono stati introdotti da una domanda che i docenti hanno posto: quando finisce il dopoguerra per l’archeologia in Italia? Per rispondere bisogna partire dalle iniziali differenze che si ponevano tra l’Italia meridionale e la Sicilia. Nei primi anni ’50, grazie ai finanziamenti del Ministero della Pubblica Istruzione e della Cassa del Mezzogiorno, l’archeologo Bernabò Brea si fa promotore delle attività di ricerca della Sicilia orientale. Successivamente avviene una trasformazione metodologica, contemporaneamente all’apertura della prima scuola al mondo di archeologia a Bordighera, per cui si inizia, verso gli anni sessanta, a scavare per l’urbanistica, con cui si ritrova la forma delle antiche città. Nel 1961, si inizia a dare importanza alla Magna Grecia, che fino ad allora era considerata periferica, con gli importantissimi scavi di Megara.
Nel 1964, in seguito al convegno di archeologia di Palermo, la Sicilia fa scuola, con trasformazioni metodologiche che ricercano il modo di vivere e le situazioni quotidiane dell’antichità, influenzando gran parte d’Europa. Motivo per cui Magna Grecia e Sicilia iniziano ad essere considerate un’unica tematica e svanisce il confine che differenziava l’Italia Meridionale e l’isola.

Come citato prima, si è parlato del grande archeologo e studioso Luigi Bernabò Brea, che nel febbraio del 1945 inizia le sue ricerche nei territori della provincia di Ragusa e Fontana Nuova. Nel suo percorso venne affiancato da Biagio Pace e Pietro Griffo, il cui lavoro inizialmente non venne apprezzato e compreso in Italia, motivo per cui organizzarono degli studi anche in Grecia, come a Megara, di cui abbiamo già accennato. Alcuni dei suoi studi erano già stati presi in considerazione precedentemente da Paolo Orsi. A proposito di questo grande studioso, i docenti hanno spiegato che è base sostanziale delle ricerche archeologiche in Sicilia ed uno dei primissimi archeologi interessatosi alla costruzione di musei nel sud Italia, oggi grandi risorse a cui si fa ancora riferimento.
Tra il 1894 e il 1896 Orsi scoprì il sito archeologico di Noto Antica, attraverso delle ricognizioni sul Monte Alveria che gli consentirono di mettere in evidenza ritrovamenti come la Necropoli di Contrada Fiaccavento, protostorica ed ellenistica, ed il Ginnasio di cui lui trascrisse un’importante descrizione tutt’ora conservata al museo civico di Noto. Negli anni 70 venne istituita un’associazione locale: l’Istituto per lo studio e la valorizzazione di Noto Antica, ancora oggi presieduta dal fondatore, avvocato, Francesco Balsamo. Questa associazione costituisce un punto di contatto di tutte le istituzioni interessate allo sviluppo del lavoro nell’area archeologica netina, che ha restituito la proprietà del sito al Comune di Noto.
Dal 1970, l’archeologo Vincenzo la Rosa riprese il lavoro di Paolo Orsi e realizzò uno scavo nei pressi del struttura Ginnasio, l’Agorà, e diversi santuari rupestri che ricoprono il monte Alveria. Ciò ci da l’idea della pianta urbanistica della città antica anche se non si ha ancora una visione completa ma frammentaria.

Gli scavi su cui ci si è più interessati ultimamente sono, dunque, il Ginnasio e la zona della Chiusa di Poliseo, che hanno dato la possibilità agli studenti del Liceo Artistico “Matteo Raeli” di cimentarsi nei panni di un archeologo, ed aiutare l’équipe, guidata dalla docente ed esperto esterno Bianca Ferrara, sul campo. Ciò all’interno del progetto di alternanza scuola-lavoro, seguito dal tutor interno Cristina Cataneo, durante il quale gli studenti hanno imparato l’estrazione del terreno, la pulizia, la catalogazione e il disegno per la riproduzione grafica, dei reperti di età ellenistica, risalenti al nono e decimo secolo, che gli archeologi dell’università di Napoli “Federico II” ricercano e studiano per questo grande progetto di scavi a Noto Antica, iniziato nel 2017.

Altro argomento di spicco del convegno è l’archeologia di Catania, di cui parlare attraverso la figura di Italo Gismondi: noto architetto e archeologo, si interessò della pianta dell’antica città nel territorio catanese partendo del grande teatro romano che era stato ricoperto di abitazioni. Abbattendo le case, Gismondi, riuscì a recuperare la struttura cementizia del teatro e ne fece ricostruire gran parte utilizzando tecniche e materiali identici a quelli usati dagli antichi romani, in modo da rendere invisibili le parti aggiuntive ma appuntandole scrupolosamente su un giornale in modo da poterle comunque riconoscere e far riconoscere dalle generazioni successive.

Si conclude con il racconto dell’operato di Gismondi questo piccolo viaggio nell’archeologia del dopoguerra in Sicilia, che però non è ancora davvero finito, in quanto là fuori ci sono tesori nascosti che riserveranno, di certo, meravigliose scoperte in futuro.

Articolo a cura di
Colombo Melissa, Perricone Alessandro, Teodoro Carmen, Riccardo Alderuccio, Di Stefano Emanuela, Tibaldi Luca e Cappello Kirill

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