Dom. Apr 28th, 2024

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Mimmo Borrelli: “Il teatro non è un luogo per capire ma per comunicare”

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Con "Napulicasse" il teatro di Mimmo Borrelli ha aperto l'attesissima 7° edizione del Codex Festival. Noi del Primato Netino abbiamo incontrato il più grande drammaturgo italiano contemporaneo per indagare la sua poetica, tra poesia e drammaturgia, lingua e linguaggi.

Con “Napulicasse” il teatro di Mimmo Borrelli ha aperto l’attesissima 7° edizione del Codex Festival. Noi del Primato Netino abbiamo incontrato il più grande drammaturgo italiano contemporaneo per indagare la sua poetica, tra poesia e drammaturgia, lingua e linguaggi.

 

Che valore ha per lei il Napoletano come lingua al teatro?
Io ho la fortuna di parlare una lingua d’azione, il dialetto napoletano che per questo motivo è diventato un segno scenico.
In Campania, nell’entroterra, ci sono diversi dialetti che si sono mantenuti, anche se il napoletano si è mescolato a molte altre lingue io vivo in una parte di Napoli dove la lingua si è conservata e per me è diventato un modo per comunicare meglio. Il teatro, infatti, non è un luogo per capire ma per comunicare. Quando vado ad esibirmi a Parigi o Bruxelles, gli spettatori non chiedono i sottotitoli, desiderano solo una trama perché percepiscono il messaggio tramite una componente importante, il suono. Nelle mie opere il suono è una parte fondamentale ed è accompagnato dal dialetto che è la lingua dell’azione.

Quanta importanza ha l’espressione nelle sue opere teatrali?
L’espressione ha molta importanza, io credo che il testo non avrebbe senso se non diventasse uno strumento per emozionare gli spettatori, non dev’essere un semplice racconto. Il suono dev’essere un tutt’uno con il corpo. Nell’ultima parte, come avrete notato, simboleggio una sorta di eruzione del Vesuvio attraverso il mio corpo perdendo quasi tre litri d’acqua. L’attore deve trasformarsi, altrimenti è un attore borghese. L’unico modo con cui riesco a procurarmi l’attenzione del pubblico è la mia lingua. 

Lei ha sia lodato che criticato Napoli e i suoi cittadini come vive questa situazione?
Io mi sento di essere il primo colpevole, infatti in scena ho pianto per quasi 20 minuti. Siamo un popolo che ha tanti pregi ma anche tanti difetti, un popolo incentrato su una sorta di familismo amorale, e questo è purtroppo un problema diffuso in tutto il sud Italia. Il mio compito è quello di aprire le ferite per essere utile. Alcuni mi dicono che con questa lingua parlo solo al mio popolo, forse è anche vero, però riesco a trasmettere messaggi importanti e persino gli Svedesi riescono a percepirli.

 Quanto influisce la sua vita privata nelle opere teatrali?
Io cerco di parlare di me attraverso gli altri, in scena rappresento persone veramente esistite. In ogni mio testo è presente qualche mio caro, rappresento anche testi dedicati ai miei genitori.
Una volta mi capitò di raffigurare una tragedia avvenuta nel paese in cui vivo: annegarono due ragazzine rumene, un amico di mio padre, proprietario di un’attività, mi confidò che la stessa mattina le due ragazze gli avevano chiesto del cibo e lui aveva comprato loro delle pizze.
Quando apprese la notizia della disgrazia si sentì in colpa pensando che fossero morte per congestione. Dopo avermi fatto questa confidenza, mi diede l’autorizzazione di raccontarla e io l’ho fatto in un mio spettacolo teatrale.

Intervista a cura di
Francesco Landogna e Miriam Celeste  III B liceo classico
Rossella Adorno, Veronica Bellofiore, Giulia Toro, Ilaria Zani –
 IV B liceo classico

 

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