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L’identità secondo Giorello: “Un vestito che non può essere indossato in ogni circostanza”

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Primo relatore ospite della V edizione della manifestazione Καιρός è stato il professor Giulio Giorello. Al filosofo e matematico abbiamo rivolto alcuni interrogativi.

Primo relatore ospite della V edizione della manifestazione Καιρός è stato il professor Giulio Giorello. Al filosofo e matematico abbiamo rivolto alcuni interrogativi.

Il professor Giulio Giorello, docente di filosofia e fisica presso l’Università di Milano, ha trattato il concetto d’identità dal molteplice all’uno, da lui stesso definita “come un vestito che non può essere indossato in ogni circostanza”.

Durante la conferenza dello scorso 18 febbraio, tenutasi nella sala più suggestiva di Palazzo Nicolaci a Noto, lo studioso ha affermato che non è semplice definire l’identità e unificarla, ossia passare dal molteplice al singolo. Non esistono degli assoluti che la possano spiegare, anche se, nel corso del tempo, è stato tentato varie volte dall’uomo. In un primo momento con la religione politeista, ai tempi di Platone; successivamente con i due monoteismi più importanti, il Cristianesimo e l’Islamismo, definiti cattolici, nel senso etimologico del termine. In realtà, però, la vera unificazione dell’identità è avvenuta in campo tecnico-scientifico, dove le leggi della fisica e della biologia hanno un carattere universale, rappresentando l’identità assoluta.

Il passaggio dal molteplice all’uno avviene per gradi – ha spiegato il professore-. Alla base, infatti, vi è uno scontro tra due diverse identità, che ne originano una nuova, sintesi delle due. Il primo esempio nella storia furono le pòleis greche, crocevia di culture diverse che coesistevano e si fondevano tra di loro. Altri tentativi furono compiuti dall’Impero Persiano ed in seguito dalla Res Publica romana: crearono un’identità composta da un particolare apparato logico-linguistico. In esso confluiscono due fondamentali azioni: una riflessiva, l’altra asimmetrica. Dunque l’identità, in modo estremistico, coincide con l’unicità comune, che, secondo Machiavelli, avviene attraeverso il conflitto“.

Giorello ha continuato portando l’esempio degli Stati Uniti: un popolo composto da svariate etnie, che si uniscono per formare l’identità statunitense. Per quanto riguarda quella europea, è in continuo mutamento a causa dell’entrata e dell’uscita di vecchi e nuovi Stati. “Essi- ha aggiunto– sono accomunati sostanzialmente dalla religione cristiana, escludendo, però, le altre minoranze religiose, come l’ebraismo. In sostanza, dunque, non esiste un comune denominatore che permetta alla comunità europea una propria identità, poichè, come ha affermato Spinoza, ogni determinazione è la negazione di qualcos’altro“.

Da sx Enrico Beninato, prof.ssa Corrada Fatale, Prof. Paolo Randazzo, Prof. Giorello, Isabella Bellini e Martina Santoro

Al termine della conferenza, il professore Giorello ha concesso una breve intervista al Primato Netino, qui riportata.

Per quale motivo nascono la matematica e l’astronomia?
La matematica nasce per ragioni pratiche; già presente nell’antichità a partire dalla civiltà egizia e sviluppatasi nell’epoca greca. Mi soffermo sulle civiltà mesopostamiche, dove la matematica e la geometria vengono concepite come un “piacere”, che porta alla creazione dell’astronomia, le cui basi sono di tipo religioso. Successivamente anche Leopardi, in uno dei suoi scritti giovanili, parla di astronomia, riferendosi a Copernico e alle sue inenzioni in campo scientifico.

Da filosofo e matematico, può descriverci in modo più dettagliato la sua linea di pensiero?
Ho iniziato il mio percorso di studi universitari nella facoltà di filosofia a Milano; alla fine di questo percorso, tra lo studio critico della crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l’analisi dei vari modelli di convivenza politica, ho deciso di intraprendere anche gli studi scientifici, laureandomi in matematica nel 1971. Il mio pensiero, dunque, nasce dall’unione della filosofia e della matematica, liberandomi dalle catene convenzionali che dividono queste due discipline, apparentemente diverse ma complementari.

Quindi lei si sente più un matematico o un filosofo?
Di base mi ritengo un filosofo e non un matematico. La matematica è più una pratica di vita, come afferma Dieudonné, ma, nel mio caso, la utilizzo come una “cassetta di attrezzi” per trattare in modo innovativo i vecchi problemi della filosofia.

Nel suo libro “Senza Dio nè padrone”, parla del suo ateismo. In cosa consiste e da cosa nasce?
Nasce sia da un punto di vista personale che dal mio percorso di studi. Si tratta di un ateismo metodologico, cioè un repertorio di strumenti intellettuali e pratici che servono ad indagare l’universo e ad indicare il nostro “cammino”, non dogmatico. Ma è anche libertario perchè permette la libertà di pensiero, senza doverla assoggettare a un Dio. Infatti ritengo che non sia proficuo inserirlo dove non è necessario.

Potrebbe smentire la credenza secondo la quale intraprendere studi filosofici non porti a sbocchi lavorativi concreti?
Smentisco del tutto questa credenza, anzi, devo dire che in questi ultimi anni gli iscritti alla facoltà di filosofia sono aumentati ed ho constatato che sono presenti delle ottime menti che potranno trovare facilmente sbocchi lavorativi, non solo nel campo dell’insegnamento liceale ed universitario, ma anche nell’industria e nelle imprese. Al contrario, i più sfortunati sono coloro che provengono dalle facoltà di fisica perchè non trovano posti di lavoro al di fuori dell’insegnamento, che vivono come un ripiego.

Articolo di Isabella Bellini, Enrico Beninato V A Liceo Classico e Martina Santoro VB Liceo Classico

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